Caput Mundi Roma da dove deriva

Quando parliamo di Roma la definiamo come caput mundi, capitale del mondo. È Marco Anneo Lucano nel 61 dopo Cristo a definirla in quel modo: “Ipsa, Caput Mundi, bellorum maxima merces, Roma capi facilis”. Tito Livio ancora prima l’aveva chiamata caput orbis terrarum. In che senso questo è vero?

Al tempo degli scrittori era vero ovviamente dal punto di vista militare e geopolitico. Roma era una potenza imperiale che aveva conquistato tantissime nazioni. Quindi in quel senso Roma è la capitale del mondo, era laddove convergevano le speranze e le aspirazioni di tanti paesi. Ma questo non di meno è vero anche da un punto di vista spirituale. Infatti, è molto singolare che proprio Roma, una volta caduta da potenza militare, diviene potenza spirituale grazie al cristianesimo e al papato. È come se in Roma stessa ci fosse un destino del tutto singolare per cui la sua grandezza viene tramandata e si trasforma ma mai si estingue.

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Giosuè Carducci in un poema sulla fondazione di Roma tra l’altro diceva:

Salve, dea Roma! Chi disconòsceti
cerchiato ha il senno di fredda tenebra,
e a lui nel reo cuore germoglia
torpida la selva di barbarie.

Salve, dea Roma! Chinato a i ruderi
del Fòro, io seguo con dolci lacrime
e adoro i tuoi sparsi vestigi,
patria, diva, santa genitrice.

Son cittadino per te d ’ Italia,
per te poeta, madre de i popoli,
che desti il tuo spirito al mondo,
che Italia improntasti di tua gloria.

Ecco, a te questa, che tu di libere
genti facesti nome uno, Italia,
ritorna, e s ’ abbraccia al tuo petto,
affisa ne ’ tuoi d ’ aquila occhi.

È bella l’immagine del poeta, per cui Roma diede il suo spirito al mondo. Noi che lo osserviamo in una certa decadenza, forse non ce ne rendiamo conto. Ma bisognerebbe sempre risalire allo spirito originale di questa grande città, uno spirito in cui certamente l’eredità cristiana svolge un ruolo fondamentale, ma essa non può essere compresa se non viene vista in controluce a quello che l’ha preceduta.

Gabriele D’Annunzio così la cantava:

Roma nostra vedrai. La vedrai da’ suoi colli:

dal Quirinale fulgido al Gianicolo,

da l’Aventino al Pincio più fulgida ancor ne l’estremo

vespero, miracol sommo, irraggiare i cieli…

Nulla è più grande e sacro. Ha in s é la luce d’un astro.

Non i suoi cieli irragia solo, ma il mondo, Roma.

 

Il poeta ci dice che nulla è più grande e sacro. Questo dovrebbe farci riflettere.

La sacralità di Roma è una caratteristica che si incontra attraverso i secoli, direi attraverso i millenni. Roma ha sempre avuto questo rapporto strettissimo con la sacralità, con la presenza del divino, sin dai tempi della sua fondazione, che non dimentichiamolo, fu una fondazione sacra, un atto sacrale.

E non dimentichiamo che questo atto sacro, si ritrova poi attraverso i secoli e i millenni. Cioè, qualunque poi sia la religione dominante in Roma, questa religione perpetua questo atto sacrale, ovviamente rendendolo sempre più significativo. Quindi farebbe un errore chi volesse vedere una rottura e basta fra la Roma pagana e la Roma cristiana. Certamente ci fu un cambio di passo importantissimo e alcune cose vennero di necessità abbandonate, ma nella Roma cristiana assistiamo anche ad una continuità evidente con il destino unico, singolare di Roma che si era già manifestato nella sua epoca imperiale e pagana.

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